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Santi del 7 Dicembre

Il mio Santo > I Santi di Dicembre

*Sant'Ambrogio - Vescovo e Dottore della Chiesa (7 dicembre e 4 aprile)

Treviri, Germania, c. 340 - Milano, 4 aprile 397
Di famiglia romana cristiana, governatore delle province del nord Italia, fu acclamato vescovo di Milano il 7 dicembre 374.
Rappresenta la figura ideale del vescovo, pastore, liturgo e mistagogo. Le sue opere liturgiche, i commentari sulle Scritture, i trattati ascetico-morali restano memorabili documenti del magistero e dell'arte di governo. Guida riconosciuta nella Chiesa occidentale, in cui trasfonde anche la ricchezza della tradizione orientale, estese il suo influsso in tutto il mondo latino.
In epoca di grandi trasformazioni culturali e sociali, la sua figura si impose come simbolo di libertà e di pacificazione. Diede particolare risalto pastorale ai valori della verginità e del martirio. Autore di celebri testi liturgici, è considerato il padre della liturgia ambrosiana. (Mess. Rom.)
Patronato: Apicoltori, Vescovi, Lombardia, Milano e Vigevano
Etimologia: Ambrogio = immortale, dal greco
Emblema: Api, Bastone pastorale, Gabbiano
Martirologio Romano: Memoria di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano e dottore della Chiesa, che si addormentò nel Signore il 4 aprile, ma è venerato in particolare in questo giorno, nel quale ricevette, ancora catecumeno, l’episcopato di questa celebre sede, mentre era prefetto della città.
Vero pastore e maestro dei fedeli, fu pieno di carità verso tutti, difese strenuamente la libertà della Chiesa e la retta dottrina della fede contro l’arianesimo e istruì nella devozione il popolo con commentari e inni per il canto.
(4 aprile: A Milano, deposizione di Sant’Ambrogio, vescovo, che, nel giorno del Sabato Santo andò incontro a Cristo vincitore della morte. La sua memoria si celebra il 7 dicembre nel giorno della sua ordinazione).
La memoria di Sant'Ambrogio è obbligatoria per tutta la Chiesa, secondo il nuovo Calendario, ed è particolarmente solenne a Milano, che in questo giorno onora il suo grande Vescovo e amatissimo Patrono.
Ambrogio non era nato a Milano, ma a Treviri, nella Gallia, verso il 339.
Era figlio di un funzionario romano in servizio al di là delle Alpi, e dopo la morte del padre la famiglia
rientrò a Roma. Ambrogio studiò diritto e retorica, e intraprese la carriera giuridica.
Si trovava a Milano, quando il Vescovo morì, e da buon funzionario imperiale, cercò che fossero evitati quei disordini spesso provocati dalle tumultuose elezioni ecclesiastiche.
Parlò con senno e fermezza nelle adunanze dei fedeli, perché tutto fosse fatto secondo coscienza e nel rispetto della libertà.
Fu in seguito a questi suoi giudiziosi discorsi che dall'assemblea si alzò un grido: "Ambrogio Vescovo!". Ambrogio, che si trovava in quell'assemblea come funzionario imperiale, non era neppure battezzato, essendo soltanto catecumeno.
Sorpreso e anche spaventato, proclamò dunque la sua indegnità; si professò peccatore, tentò perfino di fuggire.
Tutto fu inutile. Ricevette così il Battesimo, e, subito dopo, la consacrazione episcopale.
"Tolto dai tribunali e dall'amministrazione pubblica - dirà il nuovo Vescovo - per passare all'episcopato, ho dovuto cominciare a insegnare quello che non avevo mai imparato".
Si diede perciò alla lettura dei Libri sacri, poi studiò i Padri della Chiesa e i Dottori, tra i quali sarebbe stato incluso anche lui, insieme con un giovane retore che, dopo dieci anni, egli stesso avrebbe battezzato: Agostino da Tagaste.
L'opera di Ambrogio fu così vasta, profonda e importante, che difficilmente può essere riassunta.
Basti dire che fu considerato quasi un secondo Papa, in un'epoca nella quale certo non mancarono alla Chiesa grandi figure di Vescovi.
Ma Sant'Ambrogio appariva più alto di tutti per la sua opera apostolica, benché fosse piccolo e delicato nel fisico quant'era grande nello spirito.
Egli, che veniva dalla carriera dei dignitari imperiali, sostenne dinanzi all'Imperatore, non solo i diritti della Chiesa, ma l'autorità dei suoi pastori.
"Sono i Vescovi che devono giudicare i laici, e non il contrario" diceva, e tra i laici metteva, per primo, l'imperatore.
Un'altra massima dell'ex funzionario imperiale era questa: "L'Imperatore è nella Chiesa, non al disopra della Chiesa".
E le contingenze portarono Sant'Ambrogio ad applicare tale massima nei riguardi del grande e intollerante Imperatore Teodosio. Quando Teodosio, in seguito all'uccisione del comandante del presidio di Tessalonica, fece trucidare - almeno così si disse - 7000 abitanti innocenti, il Vescovo non solo gli rimproverò il massacro, ma gl'impose una pubblica penitenza. Teodosio cercò di resistere. Infine cedé. Nuovo David, fece penitenza dall'ottobre al Natale.
L'iconografia ambrosiana si è compiaciuta di rappresentare Sant'Ambrogio che scaccia dalla soglia della cattedrale l'Imperatore pubblico peccatore: in realtà l'azione del Vescovo si svolse tramite lettere e intermediari, ma il gesto resta ugualmente significativo, per indicare che né corona né scettro esonerano l'uomo dalla legge morale, uguale per tutti, e di cui sono giudici autorevoli soltanto i ministri di Dio e i pastori di anime.
(Fonte: Archivio della Parrocchia)
Giaculatoria - Sant' Ambrogio, pregate per noi.

*Sant'Atenodoro - Martire (7 dicembre)

Martirologio Romano: In Siria, Sant’Atenodoro, martire, che, come si tramanda, dopo essere stato torturato con il fuoco e con altri supplizi sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Eleusio, fu, infine, condannato a morte, ma crollato a terra il suo carnefice, né osando alcun altro colpirlo con la spada, pregando si addormentò nel Signore.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Atenodoro, pregate per noi.

*Beata Aurelia (Clementina Francisca) Arambarri Fuente - Religiosa e Martire (7 dicembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:

^ Beate Martiri Spagnole delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi - Vergini e Martiri
^Beati 522 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
^Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Vitoria, Spagna, 23 ottobre 1866 – Aravaca, Madrid, 6/7 dicembre 1936
Suor Aurelia Arambarri Fuente, al secolo Clementina Francisca, era una religiosa delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da santa Maria Soledad Torres Acosta. Ricevette l’abito dalla medesima Fondatrice e fu superiora in numerose comunità. A causa di una paralisi progressiva, si ritirò nell’infermeria della Casa Madre, a Madrid, ma dovette fuggire con lo scoppio della guerra civile spagnola. Rifugiatasi con altre tre consorelle in una casa fidata, venne prelevata da miliziani comunisti e uccisa nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1936. Aveva ottantasei anni, di cui sessantadue di vita religiosa. Papa Francesco, con decreto del 3 giugno 2013, ha autorizzato la sua beatificazione, avvenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.
Clementina Francisca Arambarri Fuente nacque a Vitoria, Álava, il 23 ottobre 1866 e ricevette il Battesimo lo stesso giorno, presso la parrocchia di Santa Maria, un tempo Cattedrale. I suoi genitori, cattolici ferventi, l’educarono religiosamente.
All’età di vent’anni, il 20 agosto 1886, entrò nell’Istituto delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, nella Casa Madre di Madrid. Compì la sua Vestizione religiosa per mano della stessa Fondatrice delle suore, suor Maria Soledad Torres Acosta (canonizzata nel 1970), il 14 novembre 1886. Dopo aver compiuto, il 18 dicembre 1887, la Professione Temporanea, venne destinata a Puerto Rico, nell’omonima Repubblica, dove emise i Voti Perpetui il 18 dicembre 1894. Il suo nome da religiosa fu suor Aurelia.
A trentott’anni, venne eletta Superiora della comunità di Guanajuato in Messico e, col medesimo incarico, passò a quella di Durango e Puebla, trascorrendovi gli anni della terribile rivoluzione che fruttò numerosi martiri. Rimpatriata nell’agosto 1916, fu Superiora nelle case di Mataró, Alcoy,
Sarriá e Barbastro. In tutti questi luoghi mostrò una costante attenzione verso le sorelle che le erano affidate, le quali, dal canto loro, sapevano che potevano confidarle qualsiasi segreto.
Nell’ottobre 1929, con l’erezione nell’Istituto della Provincia di Madrid, vi venne trasferita in qualità di Consigliera Provinciale e Superiora della comunità di Pozuelo de Alarcón, finché, nel 1934, venne colpita da una paralisi progressiva, e venne così destinata all’infermeria di Casa Madre. Tutti quelli che andavano a visitarla o che l’accudivano restavano edificati dal suo comportamento: non si lamentava mai e accettava pazientemente quanto le accadeva. Le andava sempre tutto bene ed era felice delle cure che le venivano prestate. Spesso affermava: «Sarà ciò che Dio vorrà. Lui sa che siamo qui» oppure «Siamo di Dio, non permetterà che ci accada nulla di male».
Due anni dopo, allo scoppio della guerra civile spagnola, la casa di Madrid venne sequestrata. Per maggior sicurezza, le suore anziane vennero inviate in altre comunità e suor Aurelia tornò a Pozuelo de Alarcón, ma, come le altre, dovette rifugiarsi nella casa di una famiglia fidata. Le religiose dovettero deporre l’abito e furono costrette a non poter comunicare le une con le altre, neppure per pregare.
La casa che ospitava suor Aurelia custodiva altre tre religiose: Suor Aurora López González, la più anziana dell’intero Istituto; Suor Daria Andiarena Sagaseta, cinquantasette anni; suor Agostina Peña Rodríguez, trentacinquenne, incaricata di badare a suor Aurelia.
La famiglia ospitante dichiarò che, quando i miliziani vennero a catturarle e le insultarono sospettando che fossero suore in incognito, suor Daria affermò: «In effetti, siamo religiose; potete disporre come volete di noi, ma vi supplico di non far nulla a questa famiglia, perché, al vederci senza casa e autorizzata dal Comitato [organizzazione civile che sostituiva il Municipio] di Pozuelo, ci hanno accolte nella loro casa per carità».
Probabilmente suor Aurelia e le altre due morirono nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1936 ad Aravaca, presso Madrid, mentre suor Agostina venne uccisa il giorno prima.
Il 3 giugno 2013 Papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce l’uccisione in odio alla fede di suor Aurelia e delle sue tre compagne, la cui cerimonia di beatificazione si è tenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.
(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Aurelia Arambarri Fuente, pregate per noi.

*Beata Aurora (Justa) Lopez Gonzalez - Religiosa e Martire (7 dicembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
^Beate Martiri Spagnole delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi Vergini e martiri
^Beati 522 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
^Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
San Lorenzo, Madrid, Spagna, 29 maggio 1850 – Aravaca, Madrid, 6/7 dicembre 1936
Suor Aurora Lopez Gonzalez, al secolo Justa, era una religiosa delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da santa Maria Soledad Torres Acosta. Fu un fedele riflesso della spiritualità della Fondatrice e s’impegnò in numerose comunità con vari incarichi. Con lo scoppio della guerra civile spagnola, dovette abbandonare il sacro abito e rifugiarsi con altre tre consorelle in una casa fidata. Venne prelevata da miliziani comunisti e uccisa nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1936. Papa Francesco, con decreto del 3 giugno 2013, ha autorizzato la sua beatificazione, avvenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.
Justa Lopez Gonzalez, figlia di José e Eusebia, nacque a San Lorenzo, presso Madrid, il 29 maggio 1850 e ricevette il Battesimo due giorni dopo. Sin dall’infanzia venne educata cristianamente.
Il 20 marzo 1874 entrò come Postulante nell’Istituto delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da suor Maria Soledad Torres Acosta (Canonizzata nel 1970) presso la casa di El Escorial. Iniziò il Noviziato nella Casa Madre, situata a Madrid, e vi compì la propria Vestizione il 14 maggio 1874, mentre la sua Prima Professione avvenne il 24 giugno 1875.
Dopo i voti perpetui, nel 1885, venne nominata Superiora della casa di Arévalo. Nel 1893 tornò a Madrid, poi visse nelle comunità di El Escorial, Salamanca, Alcalá de Henares, Cabeza del Buey, Jaén, Ciudad Real e, per finire, Pozuelo de Alarcón.
Chi la conobbe affermò che era una riproduzione fedele della semplicità, del coraggio e della sobrietà che contraddistingueva la Fondatrice, della quale fu contemporanea. Dal canto suo, dimostrò di amare tantissimo l’Istituto, impegnandosi a fondo negli svariati incarichi, zelante per la salvezza delle anime. Amava condividere il tempo insieme alle consorelle più giovani, incoraggiandole a sperare sempre nel volere di Dio e raccontando, a volte, gustosi aneddoti.
Dotata di un carattere energico, pur nell’età avanzata era instancabile e cercava di essere costantemente utile alla comunità. Ad esempio, quando esercitava l’ufficio di campanara, doveva essere la prima ad alzarsi al mattino, senza curarsi delle condizioni atmosferiche, per svegliare le consorelle, le quali, arrivate in cappella, la trovavano già al suo posto. Appena le capitava di avere un momento libero, andava lì, a dialogare col Signore.
Al sorgere della guerra civile, nel luglio 1936, le suore dovettero disperdersi presso famiglie amiche. Sottoposte a una strettissima sorveglianza, non potevano comunicare tra loro neppure per pregare.
Una delle sofferenze più grandi fu quella di abbandonare l’abito: quando fu il turno di suor Aurora, scoppiò in lacrime, ma fu pronta ad accettarlo per il bene della comunità.
La casa che ospitava suor Aurora custodiva altre tre religiose: Suor Aurelia Arambarri Fuente, la quale fu anch’ella superiora in molte comunità; suor Daria Andiarena Sagaseta, cinquantasette anni; Suor Agostina Peña Rodríguez, trentacinquenne, incaricata di badare a suor Aurelia.
La famiglia ospitante dichiarò che, quando i miliziani vennero a catturarle e le insultarono sospettando che fossero suore in incognito, suor Daria affermò: «In effetti, siamo religiose; potete disporre come volete di noi, ma vi supplico di non far nulla a questa famiglia, perché, al vederci senza casa e autorizzata dal Comitato [organizzazione civile che sostituiva il Municipio] di Pozuelo, ci hanno accolte nella loro casa per carità».
Probabilmente suor Aurora e le altre due morirono nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1936 ad Aravaca, presso Madrid, mentre Suor Agostina venne uccisa il giorno prima.
Il 3 giugno 2013 papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce l’uccisione in odio alla fede di suor Aurora e delle sue tre compagne, la cui cerimonia di beatificazione si è tenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Aurora Lopez Gonzalez, pregate per noi.

*San Carlo Garnier - Gesuita, Martire in Canada (7 dicembre)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Canadesi (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni) Martiri

Parigi, 25 maggio 1605 – Etbarita (Canada), 7 dicembre 1649

Viene ordinato sacerdote nel 1635. L'anno seguente, l'8 aprile 1636, a 31 anni si imbarca per Quebec, in Canada e da qui poi raggiunge, a bordo di una canoa, il territorio degli indiani Uroni.
Vince la loro diffidenza prodigandosi nel curare i malati di peste. Viene poi mandato ad evangelizzare la regione a sud della baia Georgiana e qui, nel 1646, fonda due missioni. Ma il 7 dicembre dello stesso anno la missione di San Giovanni, dove padre Carlo si trova, viene attaccata dagli indiani Irochesi e il missionario viene ucciso. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nello Stato dell’Ontario in Canada, passione di San Carlo Garnier, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che, gravemente ferito durante una incursione da alcuni pagani mentre versava l’acqua del battesimo sui catecumeni, morì con un colpo di scure. La sua memoria si celebra il 19 ottobre insieme a quella dei suoi compagni.
Se nel colonizzare il Nuovo Mondo, come veniva chiamato il Continente Americano, si attivarono più o meno con interessi politici, economici e di sfruttamento coloniale, Inglesi, Francesi, Spagnoli, cioè le grandi Potenze dell’epoca, vi furono di pari passo, altri uomini appartenenti a Congregazioni religiose
di antica fondazione, oppure che si costituirono negli anni successivi, che portarono la luce del Vangelo ed i principi cristiani, alle popolazioni locali. Quindi essi costituirono l’altra faccia della colonizzazione, non portarono guerra, violenza, sfruttamento, ma solidarietà umana e spirituale, aiuti sanitari, istruzione, accoglienza per i più disagiati e deboli, che non mancano mai in ogni angolo della Terra. E nell’America Settentrionale e precisamente in Canada, al confine con gli Stati Uniti, arrivarono come seconda generazione di Missionari, i padri Gesuiti ed i Francescani. Fra i Gesuiti vi fu un gruppo di otto sacerdoti e fratelli coadiutori, che a gruppetti o singolarmente, si spinsero nelle inesplorate e vastissime terre americane, tra immense foreste e laghi grandi come mari.
Il loro apostolato si svolse primariamente fra i “pellerossa” della zona; compito non facile, visto il loro carattere sospettoso e mutevole; i primi successi relativi, si ebbero con la tribù più vicina degli Uroni; i Gesuiti usarono il metodo di farsi “selvaggi fra i selvaggi”, cioè adottare e adattarsi agli usi e costumi locali, avvicinandosi alla mentalità degli Indiani, cercando di comprendere le loro debolezze, riti, superstizioni.
Ma dopo il 1640, la tribù degli Uroni fu attaccata ferocemente da quella degli Irochesi, per natura più combattivi e crudeli, più intelligenti e perspicaci e dotati di veloci cavalli; la guerra tribale fu violenta, portando allo sterminio quasi totale degli Uroni e annullando così l’opera dei missionari.
E nel contesto di questa guerra fra Uroni ed Irochesi, persero la vita gli otto martiri gesuiti, che in varie date testimoniarono con il loro sangue la fede in Cristo, suscitando negli stessi Irochesi, una tale ammirazione di fronte al loro coraggio, nell’affrontare le crudeli e raffinate sevizie, che usavano per torturare i loro nemici, da giungere a divorare il cuore di alcuni di loro, per poterne secondo le loro credenze, assimilare la forza d’animo ed il coraggio.
E come si diceva degli antichi martiri cristiani: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, così il loro sacrificio non fu inutile, perché nei decenni successivi, la colonia cattolica riprese vigore e si affermò saldamente in quei vasti Paesi.
I martiri furono beatificati il 21 giugno 1925, dal grande “Papa delle Missioni” Pio XI e dallo stesso pontefice canonizzati il 29 giugno 1930. Citiamo i loro nomi:
Sacerdoti Carlo Daniel († 1648), Giovanni De Brébeuf, Gabriele Lalemant, Carlo Garnier, Natale Chabanel († tutti nel 1649); fratello coadiutore Renato Goupil († 1642), sacerdote Isacco Jogues e il fratello coadiutore Giovanni de la Lande († 1647). Ricorrenza liturgica per tutti al 19 ottobre.
Carlo Garnier nacque a Parigi il 25 maggio 1605 e studiò nel Collegio dei Gesuiti di Clermont; a 19 anni entrò nella Compagnia di Gesù, fondata da Sant' Ignazio de Loyola e ordinato sacerdote nel 1635.
Dopo appena un anno, l’8 aprile 1636 a 31 anni, si imbarcò per il Canada giungendo il 10 giugno a Québec, allora colonia francese come tutto il vasto territorio, che sarà poi motivo di contrasto e guerre con gli Inglesi, altri colonizzatori.
Il 13 agosto 1636, raggiunse con una canoa di pellerossa, il territorio degli Indiani Uroni. Si stabilì prima ad Ihonitiria e poi ad Ossossané apprendendo con rapidità la loro lingua e usanze e impegnandosi alacremente alla loro evangelizzazione, pur se contrastato dai locali stregoni, che attribuivano ai suoi malefici, lo scoppio di una mortale pestilenza.
Ma padre Carlo Garnier, proprio nell’occasione dell’epidemia, dimostrò tutto il suo coraggio e la sua sollecitudine verso gli ammalati, che curò con passione, trasportandoli anche a spalle per lunghe distanze; sopportando la sporcizia e il puzzo delle piaghe; consolando i moribondi e quelli che avevano subito torture, nelle guerre tribali.
Si meritò il titolo di ‘Agnello’ e di ‘Angelo delle Missioni’. Nonostante ciò, nel 1637, gli stregoni convinsero gli Uroni di quei villaggi di distruggere la Missione, al punto che padre Carlo Garnier scrisse il 28 ottobre 1637, una lettera-testamento al superiore di Québec.
Tranquillizzatosi alquanto la pericolosa situazione, egli fu richiamato nella sede di S. Maria e nel 1639 incaricato di evangelizzare la nazione del “Tabacco” posta a sud della Baia Georgiana. Vari tentativi fatti dal 1640 al 1646 ebbero esiti negativi, finché nel 1646 riuscì a fondare due Missioni ad Etbarita nel “clan del lupo” e ad Ekarreniondi nel “clan del cervo”, che chiamò rispettivamente di S. Giovanni e di S. Mattia. Ma nel 1649 il 7 dicembre, la Missione di S. Giovanni a Etbarita, fu attaccata dai feroci Irochesi che ne sterminarono gli abitanti; lo stesso padre Garnier fu colpito da due colpi di moschetto al petto e alla coscia e finito con due colpi di scure al capo; gli Irochesi alleati degli Inglesi, erano riforniti di armi da fuoco da quest’ultimi. Il suo corpo fu recuperato da altri missionari due giorni dopo e seppellito in mezzo alle rovine della cappella. Singolarmente è ricordato il 7 dicembre, giorno del martirio.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Carlo Garnier, pregate per noi.

*Beata Daria (Josefa Engracia) Andiarena Sagaseta - Religiosa e Martire (7 dicembre)
Schede dei Gruppi a cui appartiene:
^Beate Martiri Spagnole delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi Vergini e martiri
^Beati 522 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2013 - Senza data (Celebrazioni singole)
^Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)

Donamaría, Navarra, Spagna, 5 aprile 1879 – Aravaca, Madrid, 6/7 dicembre 1936

Suor Daria Andiarena Sagaseta, al secolo Josefa Engracia (detta Graciana), era una religiosa delle Suore Serve di Maria, fondate da santa Maria Soledad de Acosta. Fu formatrice delle novizie, che curò da vera madre, sacrificandosi spesso per loro. Con lo scoppio della guerra civile spagnola, dovette abbandonare il sacro abito e rifugiarsi con altre tre consorelle in una casa fidata. Venne prelevata da miliziani comunisti e uccisa nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1936, a cinquantasette anni. Papa Francesco, con decreto del 3 giugno 2013, ha autorizzato la sua beatificazione, avvenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.
Josefa Engracia Andiarena Sagaseta nacque il 5 aprile 1879 a Donamaría, nella regione spagnola di Navarra, e venne battezzata l’indomani, nella parrocchia di Nuestra Señora de la Asunción. I suoi genitori, Nicolás e Francisca, le inculcarono i valori della fede cristiana.
A ventitre anni, il 9 novembre 1902, entrò come Postulante nella casa di San Sebastián dell’Istituto delle Suore Serve di Maria Ministre degli Infermi, fondate da suor Maria Soledad Torres Acosta (Canonizzata nel 1970). Successivamente, si trasferì per il Noviziato nella Casa Madre, situata a Madrid. Dopo aver emesso i voti temporanei il 4 maggio 1905, venne destinata a Saragozza, dove rimase fino al marzo 1910, vivendo in completa dedizione agli ammalati, secondo il carisma dell’Istituto.
Dopo aver trascorso breve tempo nella casa di Ciudad Real, tornò a Madrid, dove compì la Professione Perpetua il 5 maggio 1913. Ben presto, si ammalò di ulcera allo stomaco, che fu per le altre suore
occasione di notare la sua profonda umiltà: tutto ciò che si compiva per alleviarle il dolore le sembrava eccessivo.
Nel 1922 venne destinata al Noviziato di Casa Madre come Ausiliare della Madre Maestra per le suore coadiutrici (denominazione simile a quella di converse, ossia suore provenienti da famiglie povere). Con le novizie si comportò da vera madre, sacrificandosi per esse quando il momento lo richiedeva e diventando un vero punto di riferimento per tutte. Si dedicò a questa missione per otto anni, dopo i quali passò alla comunità di Pozuelo de Alarcón in qualità di Consigliera e Segretaria. Anche lì il suo comportamento affabile edificava quante la incontravano.
Al sorgere della guerra civile, nel luglio 1936, le suore dovettero disperdersi presso famiglie amiche. Sottoposte a una strettissima sorveglianza, non potevano comunicare tra loro neppure per pregare e vennero costrette a deporre l’abito per motivi di sicurezza.
La casa che ospitava suor Daria custodiva altre tre religiose: suor Aurora López González, la più anziana dell’intero Istituto; Suor Aurelia Arambarri Fuente, la quale fu anch’ella superiora in molte comunità; suor Agostina Peña Rodríguez, trentacinquenne, incaricata di badare a suor Aurelia.
La famiglia ospitante dichiarò che, quando i miliziani vennero a catturarle e le insultarono sospettando che fossero suore in incognito, suor Daria affermò: «In effetti, siamo religiose; potete disporre come volete di noi, ma vi supplico di non far nulla a questa famiglia, perché, al vederci senza casa e autorizzata dal Comitato [organizzazione civile che sostituiva il Municipio] di Pozuelo, ci hanno accolte nella loro casa per carità».
Probabilmente Suor Daria e le altre due morirono nella notte fra il 6 e il 7 dicembre 1936 ad Aravaca, presso Madrid, mentre Suor Agostina venne uccisa il giorno prima. Alle consorelle parve che quell’evento costituisse il coronamento di un’intera esistenza, perché spesso l’udivano dire: «Voglio il martirio del sacrificio quotidiano e, se Dio vuole, anche morire, morire martire per Lui».
Il 3 giugno 2013 papa Francesco ha firmato il decreto che riconosce l’uccisione in odio alla fede di suor Daria e delle sue tre compagne, la cui cerimonia di beatificazione si è tenuta il 13 ottobre 2013 a Tarragona.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Daria Andiarena Sagaseta, pregate per noi.

*Santa Fara (Burgundofara) - Badessa (7 dicembre)
Originaria di Pipimisicum (oggi Poincy, presso Meaux), ebbe due fratelli santi: Cagnoaldo, monaco a Luxeuil, e Farone, vescovo di Meaux.
Lo stesso san Colombano, esiliato a Luxeuil e ospite in casa dei genitori di Fara, da giovane le indicò la via della consacrazione. Tuttavia, una volta cresciuta il padre si oppose, preferendo per lei il matrimonio.
Solo Eustasio, succeduto a Colombano nella direzione di Luxeuil, convinse il padre a lasciarla seguire la via religiosa.
Ma la libertà concessa rimase solo un buon proposito perché Burgundofara, per seguire la sua strada, dovette abbandonare la casa paterna e si rifugiò presso una chiesa. La situazione si risolse solo grazie all'intervento diretto di Eustasio che la consacrò.
Burgundofara, più tardi, fondò il monastero di Evoriacum (Faremoutiers) su un terreno ricevuto in eredità dal padre. Qui fu badessa per 40 anni. Morì verso il 675. (Avvenire)
Patronato: Cinisi (PA)
Martirologio Romano: A Faremoutiers nel territorio di Meaux in Francia, Santa Fara, badessa, che, dopo avere retto per molti anni il monastero, si unì all’assemblea delle vergini che seguono l’Agnello di Dio. Nacque nel villaggio di Pipimisicum (oggi Poincy, presso Meaux) dal conte Cagnerico e da Leodegonda, ed ebbe due fratelli Santi: Cagnoaldo, monaco a Luxeuil, e Farone, vescovo di Meaux.
Bambina, fu benedetta e votata a Dio da San Colombano che, esiliato da Luxeuil, aveva ricevuto ospitalità dai suoi genitori.
Ma, divenuta adulta, il padre, incurante della promessa fatta al santo, pensò di maritarla. La fanciulla, allora, si ammalò e rimase in tale stato finché Eustasio, succeduto a Colombano nella direzione del monastero di Luxeuil, rivelò a Cagnerico che, lasciata libera di consacrarsi a Dio, ella sarebbe guarita.
Il padre promise e la giovane riebbe la salute. Promise, ma non mantenne. Burgundofara, allora, accortasi che si cominciava a riparlare di nozze, abbandonò la casa paterna e si rifugiò, con un'amica fedele, presso la chiesa di S. Pietro. Scoperta, pregata di ritornare in famiglia, minacciata di morte se avesse rifiutato, non recedette dalla decisione presa.
Eustasio, informato di ciò che stava accadendo, intervenne: ammonito severamente Cagnerico, impose il velo alla fanciulla. Burgundofara, più tardi, ricevuto in eredità dal padre un terreno tra due fiumi, vi fondò il monastero di Evoriacum (Faremoutiers), di cui fu badessa per quarant'anni.
Il cenobio, cui sorse accanto la chiesa consacrata alla Vergine e ai SS. Pietro e Paolo, divenne ben presto centro di fervida vita spirituale: prima fu adottata la regola di San Colombano, poi quella benedettina. Burgundofara morì verso il 675 e il suo corpo fu sepolto presso l'altare, presente il fratello Farone.
Ad alcuni decenni di distanza, Maiolo, abate del monastero di S. Croce di Meaux, ne levò le reliquie da terra esponendole alla pubblica venerazione. A Faremoutiers se ne celebrava la memoria il 7 dicembre; la commemorazione del 3 aprile deriva da un'aggiunta spuria di alcuni codici della Vita S. Columbani. Burgundofara è invocata specialmente contro i mali degli occhi.
(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Fara, pregate per noi.

*San Giovanni il Silenziario - Vescovo (7 dicembre)

m. 558
Rinunciò al governo della diocesi di Taxara, Armenia, per entrare nel monastero di San Saba, in Palestina, dove visse servendo umilmente i suoi fratelli.
Martirologio Romano: In Palestina, San Giovanni Silenziario o l’Esicasta, che, lasciato l’episcopato di Colonia nell’antica Armenia, condusse nella laura di San Saba una vita monastica di umile servizio ai fratelli, di rigorosa solitudine e di silenzio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni il Silenziario, pregate per noi.

*Santa Maria Giuseppa Rossello - Vergine (7 dicembre)

Albissola Marina (Savona), 27 maggio 1811 - Savona, 7 dicembre 1880
Nacque nel 1811 presso Savona e sin da piccola si distinse per carità e devozione. Non ebbe mai una bambola, non solo perché era un giocattolo molto costoso ma anche perché al divertimento anteponeva i problemi della gente, specie i giovani dei quartieri popolari.
Iscrittasi tra le terziarie francescane, lavorò, presso due due nobili coniugi. Rifiutò però di essere adottata perché in cambio i «genitori» chiedevano che rinunciasse a prendere il velo.
Ricevette il premio alla sua generosità quando il vescovo di Savona accettò che si occupasse della gioventù povera e abbandonata. Sin dal 1837 intorno a lei si formò un gruppo di ragazze che aprirono due scuole popolari femminili. Tre anni dopo nacque l'Istituto delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia che suor Rossello guidò per oltre quarant'anni.
Presto la Congregazione si diffuse in Italia e in Africa dove si occupò soprattutto dei bimbi ridotti in schiavitù. Morì il 7 dicenbre 1880 a Savona. È stata canonizzata da papa Pio XII il 12 giugno 1949. (Avvenire)
Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Savona, Santa Maria Giuseppa (Benedetta) Rossello, vergine, che fondò l’Istituto delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia e si dedicò con fervore alla salvezza delle anime, confidando solo in Dio.
Maria Giuseppa Rossello, nata nel 1811 presso Savona, comprese istintivamente quali fossero i problemi più urgenti del suo tempo e i bisogni più acuti della sua società.
C'era bisogno di umiltà e di distacco dalle cose terrene, per opporsi all'inevitabile egoismo della società borghese e del liberalismo economico. C'era bisogno di apostolato religioso, ma anche di assistenza materiale per chi si trovava nell'ignoranza e nella miseria.
La ragazzina ligure non ebbe mai una bambola, non solo perché era un giocattolo troppo costoso, ma perché i suoi viventi bambolotti furono i ragazzi del quartiere popolare, da lei curati e istruiti con passione.
Giovanetta, avrebbe voluto entrare in religione, ma non poté mai raggranellare la " dote " che veniva abitualmente richiesta alle postulanti.
Andò così a servizio, presso una famiglia di signori di Savona. Questi si affezionarono tanto alla giovane laboriosa e silenziosa, da offrirle di diventare loro figlia adottiva ed erede, essendo privi di prole. Chiedevano in cambio che Maria Giuseppa rinunziasse a ogni proposito di prendere il velo. Quando la giovane ligure, dopo una combattuta scelta, declinò tale offerta, la sua decisione, umanamente inspiegabile, destò tale meraviglia da rasentare lo scandalo.
"Se non siamo generosi con Dio, egli non lo sarà con noi - avrebbe scritto più tardi la Santa. - Non si risponde all'amore che con l'amore".
Ricevette infatti il premio della sua generosità e del suo amore, quando, nel 1837, il Vescovo di Savona accettò che l'ex-domestica si occupasse della gioventù femminile negletta materialmente e pericolante moralmente.
Si formò così una piccola compagnia di donne, animate da Maria Giuseppa Rossello, che aprirono due scuole popolari femminili e posero la loro fondazione sotto la protezione della Madonna della Misericordia, di cui si dissero "Figlie".
Suor Maria Giuseppa ne fu l'economa, e la maestra delle novizie. A lei era affidata gran parte dei lavoro materiale. " La mano al lavoro, il cuore a Dio " raccomandava alle altre suore. E quando il compito sembrava troppo gravoso: "Fate ciò che potete: Dio farà il resto".
Dopo due anni, contro la sua modestia, ella era a capo del piccolo istituto, riconosciuto ufficialmente da Carlo Alberto e aiutato dal Vescovo di Savona. " Se l'opera che noi intraprendiamo è di Dio, arriveremo a compierla " diceva Madre Rossello, senza mai scoraggiarsi.
In quarant'anni, grazie al suo tenace lavoro, le Figlie di Nostra Signora della Misericordia si moltiplicarono, moltiplicando la loro opera.
Oggi, migliaia di suore, al di qua e al di là degli oceani, ricordano la loro fondatrice, morta nel 1880 e canonizzata nel 1949.
(Fonte: Archivio Parrocchia)
Giaculatoria - Santa Maria Giuseppa Rossello, pregate per noi.

*San Pietro Baietta - Martire Mercedario (7 dicembre)

+ 1397
Originario di Cuenca (Spagna), San Pietro Beteta, entrò nell'Ordine Mercedario a Barcellona dove il suo fervore e la sua umiltà si distinsero tanto che da frate laico fu elevato a religioso professo e ordinato sacerdote.
Successivamente passò per i conventi di Saragozza, Perpignano (Francia), Calatayud, Vic, Portel, Valenza e in quello di EI Puig; nominato redentore e trovandosi in Almeria dove predicava apertamente Cristo, venne preso dai mori e messo in carcere dove fu picchiato selvaggiamente.
Dopo vari maltrattamenti in odio verso la fede cattolica gli furono tagliati i piedi, le mani ed infine la testa lasciando il suo corpo in un mare di sangue.
Imporporato così dal proprio sangue meritò gloriosamente la corona dei martiri nell'anno 1397.
L'Ordine lo festeggia il 7 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pietro Baietta, pregate per noi.

*San Sabino di Spoleto - Vescovo e Martire (7 dicembre)

III-IV secolo
Il nuovo martirologio cita in data odierna il vescovo e martire San Savino. La città umbra di Spoleto, di cui forse ricoprì la carica episcopale, lo venera con i santi diaconi Marcellino ed Esuperanzio. Varie città rivendicano le sue reliquie ed è spesso confuso con altri personaggi omonimi.
Martirologio Romano: A Spoleto in Umbria, San Sabino, venerato come vescovo e martire.
In due millenni di cristianesimo non sono affatto rari i casi di furti di reliquie ed il caso più celebre è forse costituito da quello attuato dai mercanti veneziani ad Alessandria d’Egitto con i resti dell’evangelista San Marco.
Meno famoso, ma non meno ecclatante è il caso del misterioso personaggio citato in data odierna, 7 dicembre, dal nuovo Martyrologium Romanum: “A Spoleto in Umbria, ricordo di San Sabino, vescovo e martire”.
Presunto vescovo di Spoleto, tra il III ed il IV secolo dopo Cristo San Sabino si prodigò nell’opera di conversione dei pagani umbri, attività che assai poco si conciliava con le persecuzioni anticristiane condotte dall’allora imperatore Diocleziano.
La persecuzione arrivò a colpire duramente anche Sabino, al quale vennero amputate le mani, evento poi ripreso dall’iconografia a lui relativa.
Ciò non gli impedì però di operare prodigi e ridare la vista ad un cieco mentre ancora era imprigionato.
Questo miracolo suscitò la curiosità e l’apprezzamento del suo stesso carnefice, vittima di una grave
malattia agli occhi. Sabino decise allora di incontrarlo e ciò favorì la sua guarigione e la sua conversione, ma fece altresì infuriare ulteriormente le guardie imperiali che non esitarono ad ucciderlo a bastonate.
La diocesi di Spoleto venera ancora oggi San Sabino con i santi diaconi Marcellino ed Esuperanzio.
Parecchie peripezie subirono le reliquie del santo vescovo, tanto da ottenergli il patronato della città piemontese di Ivrea, sebbene tutta la sua vita e l’opera pastorale si siano svolte nella terra natia.
Nel 954 era duca di Spoleto un certo Corrado, figlio del marchese Berengario di Ivrea. Qualora nella centro umbro scoppiò una terribile pestilenza, il duca cercò di scampare alla morte fuggendo nei possedimenti di suo padre, ma desiderando proteggere Ivrea dall’epidemia, decise di portare con sé le reliquie di San Sabino, forse non proprio con entusiastica approvazione da parte dei fedeli.
Giunte a destinazione, le suddette spoglie iniziarono ad essere fonte di miracoli e si meritarono così la venerazione da parte degli eporediesi. L’urna delle reliquie, contenente ben visibile il capo del santo, è oggi custodita nella sacrestia della cattedrale cittadina e da alcuni anni viene portata solennemente processione lungo le vie del centro storico ogni 7 luglio, anniversario della traslazione.
In tale data il Santo compare infatti nel calendario liturgico di Ivrea come “San Savino martire”, “solennità” nella città di cui è patrono principale e “festa” nell’intera diocesi di cui è patrono secondario.
San Sabino è raffigurato anche nei mosaici bizantini di Sant’Apollinare Nuovo in a Ravenna.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Sabino di Spoleto, pregate per noi.

*Santa Serena di Spoleto - Vedova e Martire (7 dicembre)

Abbiamo sue notizie dalla vita di San Savino vescovo di Spoleto.
Visse quindi nella stessa epoca del Santo Vescovo ed è ricordata per la sua carità eroica e per la venerazione verso il suo vescovo. Martire sotto Diocleziano, non si hanno più sue notizie fino al sec. X quando le sue venerate reliquie dal Monastero di San Savino vengono traslate a Metz dal vescovo Teodorico.
La memoria liturgica è il 7 dicembre come San Savino, ma anche il 30 gennaio e 22 novembre.
Emblema: Palma
Nella leggendaria narrazione della Vita di San Savino vescovo di Spoleto si ha qualche notizia riguardante Santa Serena.
Era una vedova che profuse con grande impegno l’amore per il prossimo e aveva avuto una grande venerazione per il vescovo Savino; durante la persecuzione di Diocleziano subì il martirio, altre notizie non ve ne sono.
Nel secolo X il vescovo di Metz in Francia ottenne di trasferire le reliquie della martire, che fino allora era stata sepolta nel monastero di san Savino presso Spoleto, godendo di grande venerazione di popolo. Con la traslazione delle reliquie a Metz (970) il culto si estese, generando così anche uno sdoppiamento. Si celebra il 7 dicembre come san Savino ma anche il 30 gennaio.
Al 16 agosto di qualche calendario è riportato il nome di Santa Serena, si tratta della moglie di Diocleziano che nei leggendari Atti di San Marcello e di Santa Susanna si narra che intervenne per difendere i cristiani; si tratta di una notizia falsa in quanto Lattanzio che visse alla corte di Diocleziano nel suo “De mortibus persecutorem” dice che la moglie si chiamava Prisca e la figlia Valeria, quindi storicamente la celebrazione non è esatta.
Diminutivo: Serenella. Dal latino serenus inizialmente solo un significato atmosferico “cielo senza nuvole” poi assunse anche un significato psicologico.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Santa Serena di Spoleto, pregate per noi.

*Sant'Urbano di Teano - Vescovo (7 dicembre)

Martirologio Romano: A Teano in Campania, Sant’Urbano, vescovo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Urbano di Teano, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (7 dicembre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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